Alzheimer: il terzo diabete
Alzheimer: il terzo diabete
di Luca Speciani ed Antonella Carini
Il morbo di Alzheimer prende il nome dallo psichiatra tedesco che per primo, nel 1907, diagnosticò questa demenza senile di tipo progressivo, che porta gradualmente a perdita di memoria, disturbi nella percezione, nella comprensione e nell’utilizzo del linguaggio.
Inizia a manifestarsi tipicamente intorno ai 70 anni, a volte anche in età più precoce. Gli studiosi avevano notato da tempo una stretta connessione tra incidenza di questi disturbi cognitivi e la presenza di diabete di tipo-2, malattia legata alla progressiva insensibilità all’insulina, tanto da individuare addirittura, in studi del gennaio 2009, proprio nel diabete uno dei più potenti elementi di aumentato rischio di demenza senile.
Che tipo di perversa azione esercitano le due patologie una sull’altra? Da una parte, nell’Alzheimer si ha la progressiva diminuzione di volume e peso del cervello legata all’accumulo di una specifica proteina (proteina beta-amiloide) che porta alla morte delle cellule nervose. Dall’altra, il diabete di tipo-2 è caratterizzato dall’instaurarsi di una crescente insulinoresistenza, che rende inefficace la produzione di questo ormone (l’insulina) da parte del pancreas. Restava un mistero, fino ad oggi, la causa centrale che legava la progressione parallela delle due patologie.
Dobbiamo alla dott.ssa Suzanne Craft della Washington University di Seattle (*) l’aver messo a fuoco il preciso meccanismo d’azione all’origine di tale legame. L’insulina viene degradata da un enzima detto insulisina, che è esattamente lo stesso che si occupa della degradazione della beta-amiloide. Ripetuti alti livelli di insulina, quindi, finiscono per esaurire la capacità d’azione dell’insulisina, che, completamente occupata dall’azione contro l’insulina, non riesce più a tenere liberi i tessuti cerebrali dall’accumulo dalla proteina beta-amiloide.
In altre parole, se teniamo “impegnata” l’insulinina (perchè assumiamo zuccheri ad alto impatto glicemico, come quelli presenti tra i CIBI-NO individuati da DietaGIFT), questa non sarà in grado di degradare la proteina beta-amiloide: non ci sarà una “pulizia” ed i nostri tessuti cerebrali rimarranno quindi indifesi.
Di qui la formazione delle placche che provocano il danno degenerativo al cervello.
Ad oggi non esiste alcuna cura specifica contro l’Alzheimer. Avere scoperto questa nuova modalità d’intervento nella prevenzione della demenza senile ci mette a disposizione nuove modalità di lotta, forse più semplici di quanto si pensi.
Occorre quindi percorrere tutte le vie già collaudate nella prevenzione del diabete:
- attività fisica in tempi e modi adatti alla nostra individualità
- alimentazione sana, ricca di cibi integrali, frutta, verdura, semi e grassi di buona qualità (insaturi e polinsaturi).
Ancora una volta l’alimentazione si rivela determinante punto di partenza per la salvaguardia del nostro benessere, non solo nell’immediato ma anche nella prospettiva di rendere migliore la qualità della nostra vita futura.
(*) Questa è una review del 2017
Insulin Resistance and Alzheimer’s Disease: Bioenergetic Linkages
Bryan J. Neth* and Suzanne Craft
Department of Internal Medicine, Section on Gerontology and Geriatric Medicine, Wake Forest School of Medicine,
Winston-Salem, NC, United States